Repubblica dedica uno spazio fisso alle morti sul lavoro. Una Spoon River che racconta le vite di ciascuna vittima, evitando che si trasformino in banali dati statistici. Vite invisibili e dimenticate. Nel nostro Paese una media di tre lavoratori al giorno non fa ritorno a casa e “Morire di lavoro” vuole essere un memento ininterrotto rivolto a istituzioni e politica fino a quando avrà termine questo “crimine di tempo”.
“Io, unico figlio biondo come Gesù, avevo pochi anni e vent’anni sembran pochi, poi ti volti a guardarli e non li trovi più”. Anche ventisei anni sembran pochi, ma Giacomo non ha fatto in tempo a voltarsi a guardarli. E’ morto di lavoro, è morto da operaio giovanissimo e precario a Fano, nella ditta marchigiana di verniciatura metalli: lo ha agganciato un carro ponte automatizzato, lo ha trascinato e schiacciato contro il muro. Giacomo Cesaretti, “Cesa” per gli amici che erano tutti in chiesa al funerale, gli stessi che si incontrano ogni sera alla pista di pattinaggio del Poderino: “Fratello mio, fratello nostro – ha detto Alessandro nell’orazione funebre – un giorno ci rivedremo e faremo on line casino anche lassù”. In parrocchia c’period anche il vero fratello di “Cesa”, Matteo più piccolo di due anni, e mamma Simona che li ha cresciuti in una vita in salita da quando, loro bambini piccoli, un male si è portato by way of il padre. La musica, lo sport, il judo da ragazzino e poi la passione da arbitro di calcio, il lavoro come scelta di responsabilità perchè “vent’anni sembran pochi”, ma senza un padre lasciare casa per andare all’università è una partenza che può pesare tanto per la piccola famiglia di reduci. Allora il lavoro, sempre con il sorriso sulle labbra. “Vent’anni sembran pochi, poi ti volti a guardarli e non li trovi più”.