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Tuesday, May 20, 2025

Ma il caso AfD va risolto dalla politica



Caro direttore, nel tuo editoriale del 4 maggio, mi pare di intuire una perplessità di fondo verso il potere di escludere o limitare in maniera preventiva la partecipazione politica a chi minaccia l’ordine democratico. Una perplessità, in breve, nei confronti delle democrazie difensive. Cosa pensare, in particolare, della strada aperta dai servizi di intelligence tedeschi per l’ostracizzazione dell’AfD, la seconda forza politica della Germania?

Il partito è da anni sotto controllo dell’Ufficio federale per la protezione della Costituzione. La decisione di qualche giorno fa non cambia molto, dal punto di vista politico, almeno finché sulla sua base il Parlamento non assuma l’improbabile decisione – proprio per le conseguenze politiche – di chiedere al Tribunale costituzionale la messa al bando del partito. Tuttavia, è l’occasione per provare a rispondere alle domande poste dal tuo editoriale.

Dal ’45 in poi, di fatto abbiamo protetto le nostre democrazie dai pericoli esterni. Ora stiamo toccando con mano come la loro formulation – un combine di riti, process, simboli e sostanza – sia minacciabile anche dall’interno. Le 244 voci del Lessico in-costituzionale appena curato da Tania Groppi, Carla Bassu, Tommaso Edoardo Frosini e Rolando Tarchi, danno significato e definizione all’arretramento della democrazia, a partire, appunto, dai pericoli che covano dentro di essa.

Tuttavia, sarebbe sbagliato mettere tutti i fenomeni di anti-establishment sotto un’unica etichetta. Trump e suoi crociati a parte, a volte sono il tentativo di attuazione di proposte politiche non comuni (Milei), altre sono l’espressione di idee magari rancorose o per molti sbagliate ma non per questo sovversive (Farage), altre volte sono caratterizzate dall’essere le idee degli amici dei nostri nemici (Orban, Fico), altre ancora sono manifestazione di movimenti che provano a scalare le elezioni con messaggi reazionari e semplicistici, che colgono e amplificano gli smarrimenti e le inquietudini di questi anni di trasformazioni (Abascal, Le Pen).

Nella maggior parte dei casi, sono un po’ di tutto questo, cosa che vale anche per Conte, Salvini e la Meloni di opposizione. Sarebbe altresì sbagliato ritenere che tutte le forme di condanna o risposta istituzionale a comportamenti illegittimi o eversivi siano uguali. Un conto sono le reazioni successive, come nel caso di procedimenti giudiziari circoscritti a ipotesi di reato (Le Pen, Georgescu), un conto sono i meccanismi preventivi che ostracizzano taluni dalla vita politica solo per le idee che hanno. Un comportamento illegittimo non è necessariamente sovversivo, e viceversa.

Se si parte da queste precisazioni, si possono delimitare molto le reali minacce interne alle nostre democrazie, distinguendole dalle idee e dai modi che non saremmo mai disposti a votare, ma che difenderemmo come Voltaire ci avrebbe insegnato.

Anche per questo, in Germania, la cui Costituzione successiva al Terzo Reich è non a caso il prototipo della democrazia protetta, gli strumenti di autodifesa hanno avuto poco più di un ruolo dimostrativo. Due sole volte, nel 1952 e nel 1956, due partiti sono stati sciolti.

La seconda volta si trattava del Partito comunista tedesco KPD e la vicenda portò a un profondo ripensamento sull’opportunità del cd. Parteiverbot. L’AfD, che ora è stato dichiarato come una minaccia concreta all’ordine costituzionale, con conseguenze di maggior controllo sulle sue attività ma non (ancora) di cancellazione, è stato già oggetto di giudizio del Tribunale costituzionale, il quale – proprio per la distinzione che si è appena precisata – non ha ritenuto di doverlo sciogliere.

Le paure e le incertezze che corrono dentro le nostre società e che fanno la fortuna di partiti populisti e movimenti estremisti hanno inevitabilmente riportato d’attualità il tema, dopo decenni di stabilizzazione in cui si è ritenuto che la democrazia protetta fosse qualcosa di consunto e discutibile. Anche l’Unione Europea, che pure non è uno Stato costituzionale, ha elaborato process di controllo del rispetto dello Stato di diritto da parte dei suoi paesi membri. L’Ungheria ne sa qualcosa.

Eppure, affidarsi alle forme di autodifesa costituzionale della democrazia è molto rischioso. Non è solo questione, cruciale e a tutti presente, di chi vigila sui custodi. Né quella, altrettanto nota, del paradosso della tolleranza. In questo momento, il rischio principale è di indebolire il metodo democratico che si vuol proteggere.

Se questi sono gli anni della prova del nove delle democrazie costituzionali, sarebbe il caso che esse la affrontino senza aiuti esogeni alla dialettica politica e dimostrino di sapersi proteggere da sé, con gli strumenti propri della ricerca del consenso, della partecipazione, del confronto.

D’altra parte, le recentissime elezioni tedesche, canadesi e australiane, con chief che i sostenitori delle democrazie protette non esiterebbero a ritenere presentabili tra quelli che apostrofano come impresentabili, sono lì a dimostrarlo.

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