Il ritornello è sempre lo stesso. Comincia con il canonico «la bolletta della luce continua a crescere» e si chiude con il classico «in Italia l’energia costa il triplo rispetto ai nostri concorrenti». Il urgent delle imprese sul governo per ottenere sconti e incentivi è costante, e si fa più insistente a ridosso della legge di Bilancio.
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Fabrizio Goria


Eppure, guardando i numeri, la realtà è diversa. Dall’inizio dell’anno il prezzo all’ingrosso di luce e gasoline è sceso sensibilmente: a superb ottobre period tornato ai livelli dell’property 2021, cioè dopo la pandemia ma ben prima dell’invasione russa dell’Ucraina. Un ritorno alla normalità che però mette a nudo tutte le fragilità del sistema Paese, e rilancia il tema dell’indipendenza energetica — obiettivo dichiarato anche dalla presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen. Ma che non spiega la richiesta di aiuti da parte del settore delle imprese. Anche perché negli ultimi 15 anni le grandi imprese italiane hanno ricevuto sussidi energetici per circa 20 miliardi di euro da parte della collettività generale. Attraverso un prelievo in bolletta. Soldi che sono serviti a tenere sotto controllo la spesa e che negli anni hanno contribuito a irrobustire gli utili delle aziende. Anche perché nel tempo, i finanziamenti sono progressivamente cresciuti arrivando a oltre due miliardi di euro l’anno. Alcuni sono in vigore da quasi 20 anni come l’interrompibilità che esiste dal 2008 e consente alle aziende di incassare soldi in cambio della possibilità che si interrompa la fornitura di energia in casi d’emergenza. In 17 anni, gli cease alle forniture sono stati pochissimi, ma il sistema ha comunque incassato 500 milioni l’anno (saranno 9 miliardi a superb 2025). Anche perché la rete italiana è una delle più efficienti d’Europa e, secondo uno studio di EY, ha costi inferiori ai grandi Paesi Ue: i cittadini italiani spendono in media 11 euro al mese contro una media europea di 17 euro e i 23 euro della Germania. Un vantaggio che si traduce in un risparmio complessivo di circa 3 miliardi di euro l’anno.


Anche per questo le grandi aziende energivore insieme ai produttori di energia sono pronti a presentare al governo un accordo condiviso, senza oneri per lo Stato, che sostenga la competitività del sistema Paese.
D’altra parte va sottolineato che il prezzo all’ingrosso dell’energia non è quello che arriva in bolletta. Proprio come accade con il petrolio e la benzina, tra la materia prima e il prezzo finale ci sono più voci intermedie: la rete, gli oneri di sistema, le imposte.


Eurostat, però, ha messo nero su bianco che – per i consumatori domestici – il prezzo dell’energia incide solo sul 57% del prezzo finale e che in media un consumatore tipo italiano paga 61,6 euro al mese contro i 56,4 euro dell’Eurozona: il 9,2% in più, ma non il triplo. E a livello di singoli Paesi paghiamo meno della Germania, ma più di Spagna e Francia, che possono contare su un combine energetico più ricco di rinnovabili e, nel caso francese, sul nucleare.
D’altra parte, al di là della richiesta di aiuti generalizzati, il vero nodo che la politica dovrebbe sciogliere è quello del combine di generazione: l’Italia continua a dipende in larga misura dal gasoline e ha una quota di rinnovabili sotto il 30%, con il paradosso che la Germania produce più energia solare della Penisola. Al di là del dibattito sul nucleare che continua a dividere, un aumento della produzione di energia rinnovabile permetterebbe di calmierare in maniera sensibile la spesa. Produttori e investitori ne sono consapevoli e sul tavolo ci sono progetti per 150 Gigawatt di energia verde, ma i progetti sono ancora bloccati degli iter autorizzativi. In Italia servono in media tre anni per far partire un impianto fotovoltaico e cinque per l’eolico, mentre a Madrid si impiega la metà del tempo.
Anche per questo Von der Leyen insiste sul bisogno di «snellire le process autorizzative» e chiede di «favorire i contratti di lungo termine» per avere costi certi e controllati.
