Riflettendo sul processo di Norimberga, Piero Calamandrei auspicava che le leggi dell’umanità si affermassero come vere leggi sanzionate, anziché essere solo frasi di stile, relegate nei preamboli delle convenzioni internazionali e lì dimenticate. Sperava che il richiamo all’umanità, da vaga espressione retorica, diventasse un ordinamento giuridico, una cornice etica in cui inserire valori di giustizia proclamati da organismi internazionali. Un problema che, dopo i lager, i gulag, le deportazioni, gli stermini e le pulizie etniche di massa che ha conosciuto il secolo XX, si è purtroppo riproposto di recente con le tragiche vicende che affliggono la striscia di Gaza: un territorio ormai recintato come una gabbia e in gran parte raso al suolo.


Subito dopo l’attacco terrorista di Hamas del 7 ottobre 2023 non potevano esserci dubbi sul diritto all’autodifesa di Israele. Ma poi, giorno dopo giorno, questo indiscutibile diritto ha dovuto confrontarsi con una crescente sproporzione rispetto alle modalità con cui il governo israeliano ha pianificato e conduce la sua reazione.
Secondo la rivista scientifica inglese The Lancet, nel giugno 2024 i morti erano almeno 186.000. Circa il 60% anziani, donne e bambini. Bambini morti sotto le bombe, morti per le ferite non curate, morti di fame e di stenti anche a causa dell’impedimento di aiuti umanitari, o ancor peggio uccisi (com’è successo il 1° giugno) mentre cercavano di “conquistarsi” qualche razione di cibo.
Siamo dunque di fronte a fatti che si pongono al di fuori della ragione umana, in un mondo diverso dal pianeta che si chiama “Terra” e che noi abitiamo. Così gravi e intollerabili che non importa più stabilire chi abbia torto e chi ragione, perché ormai è soltanto necessario adoperarsi nel modo più determinato possibile perché questa barbarie finisca al più presto.


Non ha senso quindi che il nostro Governo non appoggi l’iniziativa di altri Paesi europei perché Israele sblocchi pienamente e senza condizioni gli aiuti umanitari, e così pure non aderisca all’intenzione della Commissione europea di rivedere l’accordo di associazione UE-Israele.
Come non ha senso che il premier Netanyahu, colpito da mandato di cattura della Corte penale europea, sia rassicurato da un nostro ministro che se volesse venire in Italia lo potrebbe fare in tutta tranquillità.
Ha senso invece schierarsi, senza equivoci né calcoli di dubbia convenienza politica, dalla parte di coloro che si propongono di indurre Israele a una trattativa vera. Che sarebbe anche il modo migliore per contrastare la pericolosa ondata di antisemitismo che sta purtroppo crescendo un po’ dovunque.